
L'incontro "Storie di guerre e di paci" affronta la complessità e le sfumature di concetti apparentemente scontati come pace e guerra, evidenziando come la loro definizione sia cambiata nel tempo e sia spesso influenzata da una prospettiva eurocentrica. Viene sottolineato che, mentre in passato le guerre erano dichiarate e concluse con trattati, dopo il 1945 questa distinzione è diventata meno netta per l'Europa occidentale.
Si discute il detto "Si vis pacem, para bellum" (se vuoi la pace, prepara la guerra), che, sebbene attribuito agli antichi romani, non si trova in alcun testo antico e non sembra aver avuto grande successo nel prevenire i conflitti storicamente. L'attuale riproposizione di questo motto per giustificare l'aumento delle spese militari, a discapito di settori come sanità e scuola, è vista con scetticismo, sebbene in contesti specifici, come la Guerra Fredda, la deterrenza nucleare possa aver evitato un conflitto diretto tra grandi potenze.
La figura di San Francesco d'Assisi, spesso considerato patrono dei pacifisti, viene presentata come straordinariamente complessa e piena di contraddizioni. Sebbene Francesco insegnasse a salutare con "La pace sia con voi" e praticasse una "pace interiore", partecipò alla quinta crociata e andò dal Sultano non per un dialogo di pari, ma per tentare di convertirlo, pur agendo pacificamente. La sua immagine fu poi spesso reinventata, anche con "fake news medievali", distorcendo il suo messaggio originale di non offendere nessuno.
Il concetto di "guerra giusta" ha radici antiche, già dai romani che credevano in guerre giustificate e condotte secondo regole. I cristiani, con i loro principi come "Non uccidere" e "Porgi l'altra guancia", si posero seriamente il problema, e figure come Sant'Agostino conclusero che in certi casi la guerra è necessaria per raggiungere la pace contro i malvagi. Tuttavia, l'idea di una "pace giusta" è problematica, poiché nessuna parte in conflitto ammette di avere torto, e una pace imposta dal più forte raramente può essere considerata giusta.
Vengono poi analizzati esempi di paci "ben fatte" e "mal fatte":
• La Pace di Vestfalia (1648) è citata come esempio di pace ben fatta. Dopo un secolo e mezzo di guerre civili e di religione in Europa (Guerra dei Trent'anni), le parti, esauste e senza vincitori netti, furono costrette a negoziare e accettare la convivenza religiosa, ponendo fine agli stermini di civili e garantendo un periodo di tranquillità.
• La Pace di Versailles (1919), al contrario, è considerata una pace mal fatta che preparò la Seconda Guerra Mondiale. I vincitori ridisegnarono i confini senza tener conto delle popolazioni, creando stati con minoranze etniche oppresse. L'umiliazione e le imposizioni risarcitorie alla Germania alimentarono un profondo risentimento e revanscismo, come dimostrato dalla caotica creazione di nuovi stati in Europa orientale che contribuì all'instabilità.
• Le paci post-Seconda Guerra Mondiale (Yalta, Potsdam, Parigi) sono giudicate in modo più positivo. Nonostante la perdita di territori per i paesi sconfitti (Germania, Italia, Giappone), queste paci portarono a un rapido reinserimento e a periodi di prosperità, senza creare risentimenti duraturi per i nuovi confini.
La caduta del comunismo nel 1989 ha paradossalmente scatenato un'esplosione di nazionalismi in Europa orientale e nei Balcani, portando a nuove guerre e atrocità. La storia umana oscilla tra la tendenza a creare grandi imperi multietnici (che impongono la pace, a volte apprezzata dalle minoranze) e la formazione di stati nazionali. Quando le strutture imperiali crollano, spesso emerge un risentimento accumulato contro il "popolo dominatore", come accaduto nelle Foibe o nei Balcani contro i turchi e i tedeschi.
Per i conflitti attuali, si menzionano possibili soluzioni:
• La soluzione coreana: un armistizio durato 70 anni senza un trattato di pace formale, con le due Coree che rivendicano l'intero territorio ma hanno smesso di combattere.
• La soluzione finlandese: per il conflitto ucraino, questa implicherebbe una neutralità dichiarata dell'Ucraina. La storia della Finlandia, che dopo la Seconda Guerra Mondiale mantenne la neutralità per decenni, è istruttiva per capire la "paranoia russa dell'invasione" e il loro desiderio di sicurezza nei territori dell'ex impero.
Viene criticato un suprematismo occidentale che tende a dimenticare le proprie responsabilità storiche e le atrocità commesse. La prosperità e la democrazia occidentali non conferiscono una superiorità morale, e paesi come la Cina ricordano bene le invasioni e le umiliazioni subite dall'Occidente (es. Guerre dell'Oppio). Sebbene la Cina sia anch'essa una potenza imperiale che opprime nazionalità al suo interno, storicamente la sua concezione di impero non l'ha mai spinta a voler conquistare il mondo intero.
Infine, l'analisi si concentra sulla corsa agli armamenti che precedette la Prima Guerra Mondiale. Una "letteratura dell'invasione" creò un clima di paura e la convinzione che la guerra fosse inevitabile. Le alleanze, concepite per la sicurezza, finirono per obbligare i paesi a entrare in guerra uno dopo l'altro. Il Papa Francesco è citato per la sua critica all'industria bellica e al riarmo come cause di conflitti. Si sottolinea che l'acquisto di armi, anche se motivato da ragioni economiche, genera un clima di inimicizia e spinge gli avversari ad armarsi a loro volta, creando un circolo vizioso.
La storia insegna l'importanza di distinguere i popoli dai loro governi, riconoscendo che i popoli hanno la loro vita e cultura al di là delle azioni dei leader politici. Le classi dirigenti europee, a differenza di gran parte del mondo, tendono a dimenticare le immense responsabilità storiche dell'Occidente, un'amnesia che rende difficile affrontare il presente e il futuro con saggezza. Le tragedie come quella israelo-palestinese sono radicate in secoli di storia e non possono avere soluzioni semplici o immediate.